SAN PEDRO TAPANATEPEC, Mexico – I ragazzi hanno lasciato il loro quartiere in Honduras a qualche ora di distanza l’uno dall’altro e si sono messi alla ricerca della carovana di migranti che avevano visto in televisione. Uno ha detto a sua madre che andava all’allenamento di calcio. L’altro è sgattaiolato fuori nel mezzo della notte.

In qualche modo, raccontano, si sono ritrovati nella folla e l’hanno seguita fino a questa piccola città nel sud del Messico. Tuttavia, dopo più di 200 miglia, i due amici si sono ritrovati a un bivio.

Nonostante un’infezione alla gola trasformatasi in febbre, e una tosse che scuoteva il suo piccolo petto, Isaac Reyes Enamorado, 12 anni, era irremovibile.

“Non ho mai pensato di tornare indietro”, ha detto Isaac domenica mentre risposava all’ombra della piazza centrale di Tapanatec.

Due isolati più in là, Javier Flores Maldonado, 16 anni, era sdraiato su uno sporco materassino da yoga, pensando esattamente la stessa cosa. Alcuni giorni prima era venuto a sapere che sua mamma si era ammalata quando aveva scoperto che non era andato a giocare a calcio ma che era in cammino verso gli Stati Uniti. Ora la sua famiglia vuole che torni a casa.

La carovana si è attirata le ire del Presidente Trump, il quale ha sostenuto, senza alcuna prova, che questa comprende terroristi e membri delle gang, e che costituisce una potenziale “invasione”.

Ma c’è un aspetto rilevante della carovana che il presidente non ha menzionato: i bambini.

Secondo l’UNICEF c’erano approssimativamente 2.300 minori tra i 9.300 membri della carovana quando questa è entrata in Messico il 19 ottobre, anche se sembra che il numero di appartenenti alla carovana si sia ridotto fino a comprendere tra le 4.000 e le 7.000 persone.

I bambini sono i più vulnerabili tra i richiedenti asilo: alcuni non hanno più di qualche mese, molti sono avvolti in coperte o addormentati in passeggini le cui ruote hanno iniziato a staccarsi dopo due settimane sulla strada. Altri viaggiano da soli o con fratelli.

La loro fragilità è stata evidenziata in due occasioni: sabato sera quando un uomo è stato attaccato da altri migranti dopo essere stato accusato di aver tentato di rapire un bambino – accusa che gli attivisti che assistono la carovana hanno detto essere falsa – e di nuovo lunedì mattina quando un bambino si è ferito la testa cadendo da una macchina da cui stava cercando di ottenere un passaggio.

Il pericolo aumenta per i bambini che viaggiano senza genitori. Questi, se continueranno fino al confine tra il Messico e gli Stati Uniti, entreranno a far parte dei più di 250.000 minori non accompagnati che sono entrati negli Stati Uniti negli ultimi cinque anni, la maggior parte in fuga dalla violenza delle gang e dalla povertà in America Centrale.

Javier si trova ora davanti a una scelta: abbandonare i suoi sogni di una vita migliore in America o spezzare il cuore di sua madre.

La miseria a casa

Mentre la carovana riposava domenica a Tapanatepec, la cittadina, normalmente molto tranquilla, si è trasformata in un enorme parco giochi.

Una dozzina di bambini si arrampica in cima a una sola altalena. Alcuni tirano calci a bottigliette d’acqua sul ciottolato, altri fanno l’elemosina nella speranza di riuscire a comprarsi un pallone da calcio. Ovunque si sentono voci gridare, tossire e ridere.

Decine di bambini sono entrati nel fiume, un torbido corso d’acqua le cui acque marroni offrono un po’ di conforto dal sole rovente.

Nel mezzo della corrente sguazzano due gemelli identici di 17 anni, Jordy e Jonny Arguijo Gonzalez. Sono deperiti a causa della lunga camminata e i loro piedi sono coperti di piaghe. I loro occhi sono rossi per la congiuntivite presa dalla polvere sulla strada o da acque come questa, che puzzano di fogna. Condividono con il padre un singolo paio di sandali rosa, trovati lungo la strada.

Sulla riva del fiume, tra le famiglie che lavano i loro vestiti sulle rocce, Denis Arguijo tiene d’occhio i suoi figli. Vendeva frutta con un carretto a Tegucigalpa, e, quando i figli erano diventati abbastanza grandi, gli aveva chiesto di aiutarlo. Ma i membri delle gang gli facevano pressione perché vendessero droga, ha raccontato. E quando i ragazzi si erano rifiutati, erano cominciate le minacce. La carovana era la loro unica via di scampo.

Nonostante questo, i ragazzi dicono che gli sembra che il pericolo li abbia seguiti fino qui a Tapanatepec. Giovani uomini fumano marijuana sulle rive del fiume. Altri la vendono apertamente. Alcuni ti offrono “polvo” o polvere – cocaina.

“Ci sono persone cattive anche qui”, dirà Jordy più tardi. “Ma noi ci stiamo lontani”, aggiunge Jonny.

Ora il padre fischia, e i ragazzi, con l’acqua all’altezza del petto, fischiano di ritorno per fargli sapere che va tutto bene.

Alcuni bambini sembrano considerare la carovana come un’avventura, mentre altri la considerano una punizione per qualcosa che non si sono resi conto di aver fatto.

Angie Perdomo, 6 anni, dice che le piace camminare ogni giorno con sua mamma. Ma, mentre la madre, Doris Perdome, le intreccia i capelli, Angie racconta anche di aver perso il suo diario e i suoi colori mentre lei e sua madre scappavano dal gas lacrimogeno sparato dalle autorità messicane al confine con il Guatemala.

“C’era la polizia, quindi siamo dovute scappare”, racconta Angie, aggiungendo che non sono salite sul retro dei camion perché “puoi inciampare, cadere e morire”.

Tuttavia, le difficoltà incontrate lungo la strada sono controbilanciate dalla miseria a casa.

Isaac, il ragazzo di 12 anni sgattaiolato fuori nel mezzo della notte, racconta che nel suo paese natale di Peña Blanca,  viveva insieme ai suoi sette fratelli in una casa con teli di plastica al posto delle pareti e del soffitto. Il 13 ottobre, i suoi vicini avevano iniziato a dirigersi verso San Pedro Sula per unirsi alla carovana che si stava radunando alla stazione dell’autobus.

Isaac si è fatto prestare dal suo capo, un venditore di verdura, 200 lempiras honduregne – circa $8. Quando ha detto alla madre che voleva unirsi alla carovana per diventare un elettricista negli Stati Uniti così da poterle costruire una vera e propria casa a Peña Blanca, lei si è messa a ridere. Ma, alle 3 del mattino del 14 ottobre, ha infilato cinque magliette e due paia di pantaloni nel suo zaino, ed è sgattaiolato fuori dalla porta d’ingresso.

Quando ha realizzato che se ne era andato, la madre ha mandato il fratello Fernando, 19 anni, a cercarlo. Una settimana più tardi Fernando ha trovato Isaac in Guatemala, vicino al confine con il Messico.

“Sono qui per prendermi cura di lui”, dice Fernando, “ma è anche un mio sogno quello di andare negli Stati Uniti”.

Isaac ha anche trovato nella carovana altre persone provenienti dal suo paese natale, tra cui Javier, il ragazzo di 16 anni che aveva mentito alla madre dicendo di andare all’allenamento di calcio. Per la maggior parte del cammino hanno viaggiato insieme.

Javier aveva seguito suo fratello Alex, 23 anni, fino alla carovana. Alex racconta di essere stato deportato dal Messico nove mesi fa e di aver visto nella carovana una possibilità per tornare dalla moglie incinta in tempo per il parto.

Ma quando Javier aveva trovato il fratello, dopo molti giorni da solo, Alex si era arrabbiato perché Javier – il più giovane di sette fratelli – aveva lasciato la madre. L’hanno chiamata dal Messico e hanno saputo dei suoi problemi di cuore.

“E’ una situazione molto difficile per lui”, dice Alex, “è depresso”.

Negli ultimi giorni, mentre la decisione se tornare indietro pesava su Javier, lui e Isaac si sono allontanati. Mentre Isaac era impaziente di saltare su qualsiasi camion avesse rallentato per loro, Javier non lo era. Era come se qualcosa lo stesso spingendo indietro verso l’Honduras.

Con domenica notte era arrivata l’ora di decidere. Javier ha preso in prestito il telefono del fratello e ha composto il numero della madre.

La decisione di un ragazzo

Il lunedì, Isaac si è svegliato alle 2 del mattino all’interno di un giardino circondato da una siepe nella piazza, a causa della voce degli attivisti che parlavano con i microfoni. Un’ora dopo, la carovana era in movimento, riversandosi fuori da Tapanatepec in direzione di un’altra cittadina a 30 miglia di distanza.

“Vámonos,” Isaac incoraggia i ritardatari, che ancora dormono sul marciapiede. “Andiamo”. Quando la carovana passa di fianco a una palestra all’aperto lungo la strada che porta fuori città, Isaac salta sulle attrezzature e si mette a fare addominali sorridendo.

Due ore dopo, dopo parecchie miglia e un riposino in un fosso, Isaac scorge un camion vuoto e salta sul retro con una dozzina di altri uomini e bambini, sparendo in lontananza proprio mentre inizia ad albeggiare.

A Tapanatepec, Javier aspetta alla stazione di polizia. È il numero 35 in una lista di 80 migranti che hanno fatto richiesta per la “partenza volontaria”.

Per quattro ore aspetta, annoiato ma allo stesso tempo impaziente di vedere sua mamma. Quando un autobus arriva, Javier scatta in piedi.

Un officiale gli consegna un pacchetto contenente delle soluzioni di elettroliti da prendere per via orale e un volantino che avverte i migranti che potrebbero essere attaccati dai cartelli della droga o abbandonati dai trafficanti.

Ma Javier ha già preso la sua decisione. Una volta messi da parte abbastanza soldi, proverà di nuovo a raggiungere gli Stati Uniti – questa volta servendosi di un trafficante.

“In questo modo mia mamma saprà che sono al sicuro”, dice.

Poi sale sull’autobus che lo riporterà a casa.

TRATTO DA THE WASHINGTON POST