Dall’area balcanica alla Russia, il rapporto fra piccoli istituzionalizzati e popolazione residente è cinque volte superiore alla media mondiale.

Malati. Orfani. Disabili. O semplicemente bambini sfortunati, nati in famiglie indigenti per le quali un’altra bocca da sfamare è una disgrazia, non ragione di felicità. Sono questi gli ospiti degli orfanotrofi e di altre istituzioni pubbliche e private, un vero e proprio “esercito” di piccoli infelici che vivono nell’Europa centro-orientale, ma anche nei Balcani. Europa dell’Est che è oggi la regione al mondo con il più alto numero di bambini “istituzionalizzati”.

La relazione Unicef. A rivelarlo è uno studio Unicef, intitolato “Child Abuse & Neglect”, reso pubblico ieri. L’Unicef ha calcolato in «almeno 2,7 milioni» i bambini che in tutto il mondo vivono oggi in brefotrofi o istituzioni simili. E una parte significativa è composta da piccoli dell’Europa centrale, orientale e dei Balcani. «Nuove stime dell’Unicef» hanno messo in luce che «l’Europa centrale e orientale ha la maggiore percentuale» di minori affidati a orfanotrofi e analoghe strutture, «con 666 minori su 100.000 individui» nel cosiddetto “residential care”, «cinque volte la media globale che è di 120 per 100.000», ha detto Unicef. In tutto, si tratta di circa 800mila bambini.

La mappa. Cifre disaggregate indicano che la maggior parte di essi vive nella Federazione Russa e in Ucraina, con più della metà dei casi; ma anche nazioni ben più vicine conoscono il problema. Nazioni come la Romania, con più di 20mila bimbi istituzionalizzati, la Bulgaria con 4.200 – che comunque hanno fatto passi da gigante nell’ultimo decennio per migliorare la situazione – la Croazia (con 1.900), ma anche la Bosnia (1.100), la Serbia (900), l’Albania (560), la piccola Macedonia e il Montenegro con 200 a testa. Difficile dire se tutti, nelle file di questa moltitudine, soffrano; troppo diverse le condizioni da uno Stato o persino da un’istituzione all’altra. Ma per Unicef c’è un filo rosso che lega i destini di quei bambini. Bambini che «sono già a rischio per essere stati allontanati dalla famiglia» e che negli orfanotrofi sono esposti anche a un «aumentato pericolo di violenze, abusi e danni a lungo termine», ha spiegato Cornelius Williams, alto funzionario Unicef.

Priorità. E la priorità dovrebbe essere solo una. «Quella di tenere i minori fuori da grandi istituti prevenendo la separazione dal nucleo familiare», sia da quella naturale, sostenuta da programmi di sostegno, sia da quella d’adozione, illustra Lesley Miller, regional advisor di Unicef. E negli istituti più grandi «lo sviluppo è condizionato negativamente dall’assenza di un ambiente familiare attento», soprattutto per i bimbi da zero a 3 anni. «Quando un essere in così tenera età» è messo in un’istituzione, «manca di amore e cura», fattori che «minano lo sviluppo equilibrato della persona con conseguenze devastanti per tutta la vita», aggiunge.

Storie felici. C’è però anche chi è riuscito a salvarsi da un triste destino, si legge sul sito Unicef. Come Stanislava, 15enne bulgara, «messa in orfanotrofio dopo la nascita» e oggi ospite di una casa famiglia dove può contare sul «sostegno di maestri, psicologi, logopedisti e tecnici della riabilitazione», in un Paese che ha profuso energie per ridurre, dal 2000, del 75% il numero dei bimbi ospitati negli istituti. Storie simili quelle di Flori e Ionut, 4 e 7 anni, riuniti alla madre, già vittima di violenza familiare. O di Vladimir, sei anni, bulgaro, oggi affidato a una famiglia adottiva. Ma tanti altri rimangono segregati negli istituti. Perché ci sono arrivati? Ci sono fattori storici comuni a tutta l’area, spiega Unicef, con famiglie che si ritengono incapaci di prendersi cura di bambini che hanno bisogno di assistenza e protezione particolare e insieme un’idea degli orfanotrofi come approdo ideale per bambini disabili, troppo spesso percepiti come “esistenze difettose”. Pesa anche l’appartenenza a un gruppo discriminato, come possono essere i rom. O semplicemente la povertà, una delle ragioni-chiave che hanno portato alla nascita dell’esercito dei bambini soli, a Est.

di Stefano Giantin